Angelo Brando nasce a Maratea il 10 gennaio 1878. Ultimo di otto figli, di Giuseppe e Vincenza Zaccaro, fu avviato allo studio del disegno, dell’affresco, della scultura e della pittura all’età di quasi 18 anni, presso il Regio Istituto di Belle Arti di Napoli, dove facevano scuola, tra gli altri, maestri del calibro di Vincenzo Volpe, Domenico Morelli, Michele Cammarano e del moliternese Michele Tedesco. In questi anni conobbe Francesco De Nicola col quale strinse un'affettuosa amicizia, diventando poi cognati avendo sposato due sorelle, Eugenia e Maria Tauro. Da allievo della classe di pittura, fu ammesso a quella di modellato tenuta da Achille D’Orsi. Ottenne diversi premi nei “concorsi di emulazione”, nel disegno dal nudo, nel dipinto di una mezza figura, nella scuola di Ornato, nella prospettiva acquerellata. Ricevette attestazioni di lode per il disegno di figura, di prospettiva, di anatomia umana e per la pittura di figura e di paese. Nel 1904 si licenziò con lode dal Regio Istituto e ottenne il terzo premio in danaro per il saggio finale. Conseguita l’abilitazione in pittura, dal 1913 gli venne affidata la docenza di disegno della figura nello stesso Istituto. Dal ’17, fino al ’48 insegnò al Liceo Artistico. A cui si aggiunsero gli incarichi, sempre a Napoli, di Conservatore della Galleria Regionale della Regia Accademia delle Belle Arti, di curatore delle opere presso il Manicomio di Aversa e i titoli di Cavaliere ufficiale della Corona, di Consigliere della Società promotrice delle Belle Arti “Salvator Rosa” e di Commissario del Comitato per la Pinacoteca della Basilicata. Si dedicò con passione alla pittura ad olio, approfondì lo studio delle tecniche, sperimentò gli effetti di luce, si raffinò nel disegno e nel colore. A 25 anni maturò la sua prima partecipazione ad una mostra collettiva della Promotrice napoletana. Seguirono, nel 1908, le presenze alla Quadriennale di Torino e alla Iª Esposizione Nazionale di Belle Arti di Rimini. L’anno dopo, è di nuovo a Napoli, con la Iª Esposizione Giovanile d’Arte. Di qui la svolta, per quella che fu definita la “Secessione dei ventitre”. Tra i ventitrè colleghi, Brando contribuì alla presa di distanza dal sistema ufficiale delle mostre nella città del Vesuvio.
L’impegno militante di nuova aggregazione si orientò verso “posizioni antiaccademiche” che alla “vecchia pittura di storia, piani prospettici, tonalità scure, colori terrosi, pennellate precise” contrapponeva una maggiore libertà derivata da influssi impressionisti e post-impressionisti, più aperti a caratterizzazioni individuali che non rinnegassero inclinazioni naturalistiche e influenze morelliane vicine alla loro formazione. Si consolidarono così, nella pittura del lucano Brando, il bozzettismo della pennellata, la luminosa fluidità, la flessuosità dei panneggi, l’incarnato “chiazzato” tra i contrasti luminosi.Tutti elementi anticipatori della voglia di nuovo, di una modernità avvertita e del tentativo di aggiornamento del linguaggio. Una tendenza che Brando sposò e interpretò senza riserve. La sua fu una produzione vasta, accompagnata da un’intensa attività espositiva che gli valsero apprezzamenti della critica, ammirazione dei colleghi e una committenza sempre viva, a partire dalla ritrattistica per la Casa Reale e per le famiglie facoltose di Napoli e Maratea. Non frequentò molto il centro del Golfo di Policastro, a cui comunque era legato dalla luce schietta e vibrante che tanta parte ebbe nella sua pittura. La sua tavolozza, dominata dai rossi tizianeschi, dalle accentuazioni cromatiche e dalle pennellate veloci e istintuali, sembrò quasi contraddire la natura pacata e mite del suo carattere, “l’innata modestia e il desiderio di non apparire”. La benevolenza per la famiglia e la gelosia della moglie Eugenia Tauro, (che si sostituiva volentieri alle modelle per pose più audaci), non frenarono la sua capacità espressiva. Tranne che per le tele simboliste - legate alle stagioni ed al mito e ad una certa idea di erotismo, che univa l’estetica al senso religioso di bellezza - i temi raffigurati da Brando furono incentrati sulle atmosfere domestiche. Una “pittura di realtà” con le radici negli affetti, in un repertorio della figura e dei sentimenti di grande mestizia.
Fanciulla che legge
Il racconto iconografico, nell’apparente sommario tratteggio, produsse però un’intensità e una pulizia di esecuzione di grande efficacia che porta alla natura dell’animo umano e lo racchiude, lo esalta, lo delinea con una precisione che bozzettisti e macchiaioli hanno voluto deliberatamente espropriare al disegno.
Il cucito, la lettura, le confidenze, i pensieri come gli atteggiamenti, le espressioni, le relazioni tra donne, fanciulle, bambine - negli interni della propria casa - sono il documento, il manifesto pittorico di un mondo di attenzioni, legami, passioni che da privato, segreto, interiore diventa condiviso e pubblico. La casa è allora il fulcro, il baricentro della vita affettiva. I ritratti sono, invece, l’interiorità soggettiva, il nostro sguardo “sul mondo”. Mentre la scrittura, il pianoforte, il violino, il coro il prolungamento delle corde e della misteriosa musicalità che la vita ci può riservare. L’opera “Violinista”, non a caso diverrà un soggetto caro al pittore, ripreso più volte e proposto nell’ultima raccolta in una versione del 1937.
Non mancano però altri temi, come quelli del mercato di paese o alcune scene di natività, i riferimenti al ciclo della vita o ai ricordi filtrati dal tempo e dalla memoria. O ancora le vedute del Porto di Napoli e gli scorci della capitale. Brando si impegnò anche in realizzazioni di arte sacra e mariana, collocate in diverse chiese, dalla cappella
Una lunga malattia cardiaca lo condusse alla morte il 21 febbraio del 1955. La sua opera fu riassunta nella retrospettiva curata dalla figlia Cordelia nel 1959 alla galleria “Medea” di Napoli. La tutela del suo patrimonio artistico fu invece appannaggio del nipote Elio Forgione finchè in vita. Oggi è nelle mani della vedova Angelina Mastroluca che si è resa disponibile per la creazione della Pinacoteca Angelo Brando situata all'interno del Palazzo De Lieto a Maratea, nei pressi della casa natale dell'artista.
Ritratto di bambina
Mercato di paese
Ritratto di giovane donna
Ritratto di donna
Interno con figura
La moglie Eugenia
Ritratto di bambina
La lettura
Ritratto di giovanetta
Figura femminile
La poesia pittorica di
Una “pittura di realtà” con le radici negli afetti. La produzione del LUCANO:
Angelo Brando è ancora tutta da approfondire, per recuperare a una dimensione scientifica una esperienza singolare.
“Pittura delicata e sobria, elegante e moderna... .è un impressionismo moderato quasi romantico, sotto cui trovi il disegno, ed è una ricerca continua e non sforzata di luminosità: è la ricerca della luce”.
Così, il 23 novembre del 1921, sul “Don Marzio”, scriveva lo scrittore Achille Macchia, a proposito dei dipinti del marateota Angelo Brando. Parlava di “poesia pittorica”, per la “dote di lui che lo fa eguale a se stesso e dissimile agli altri”, pur nel solco di quell’adattamento regionalistico – precisa Isabella Valente - che “ogni scuola o singolo artista ha fatto dell’idea dell’impressionismo che, a Napoli in particolare, trovava una sua rispondenza nella pittura bozzettistica di ascendenza morelliana”.
Così, il 23 novembre del 1921, sul “Don Marzio”, scriveva lo scrittore Achille Macchia, a proposito dei dipinti del marateota Angelo Brando. Parlava di “poesia pittorica”, per la “dote di lui che lo fa eguale a se stesso e dissimile agli altri”, pur nel solco di quell’adattamento regionalistico – precisa Isabella Valente - che “ogni scuola o singolo artista ha fatto dell’idea dell’impressionismo che, a Napoli in particolare, trovava una sua rispondenza nella pittura bozzettistica di ascendenza morelliana”.
Pittura di “una robustezza e una compostezza che ormai è difficile trovare”, “nè sporca di colore, né di tema”, ribadisce ancora Macchia. Nel solco “dell’eredità dell’impressionismo, tra i macchiaioli e la trattazione più libera e vaporosa del colore” (Valente). Pittura più impegnata, meno interessata alla ricerca dell’effetto o del virtuosismo di tocco, ma motivata verso una resa più raffinata, attraverso quel modo di sfaldare e sfumare che gli fu proprio. Fu questa l’anima delle vedute d’interno, con le figure colte nell’intimità dell’ambiente domestico e di membri di famiglia ripresi nel pieno della luce solare, di Angelo Brando. Una poetica della narrazione e degli affetti di cui è largamente intrisa la sua copiosa produzione. Una figura, quella del marateota, che si è distinta tra le tendenze partenopee nate e cresciute dalla lezione dell’impressionismo che proprio a Napoli si distinse - sono sempre parole della Valente - anche con “echi simbolisti e secessionisti di matrice europea”. L’allegoria e il simbolo sono poi abbandonati per
ritornare al realismo insito alle radici dell’artista. Ed è qui il
Brando più poetico e comunicativo, quello vero, quello intimo e
domestico. La poetica degli affetti diventa le fil rouge della
sua produzione. Sempre pronto a cogliere l’attimo saliente di una
comunicazione emotiva, di un abbraccio o di uno sguardo. Impressioni di
bambini “scoperti” in una risata o in un pianto, intenti a leggere o
suonare ma anche stretti in una morsa di braccia amiche. E poi le madri.
La madre che carezza con gli occhi, che stringe al seno, che nutre e fa
vivere. Sembrerebbe quasi una sfrenata ricerca dell’eterno mistero
creativo. La creazione affidata alla donna e dalla quale si emana tutta
la luce del focolare domestico.
Natura morta
Alunni
Nobildonna napoletana
La Grande Madre
incarnata dalla moglie Eugenia, ritratta in mille angolazioni e da
diverse prospettive, sembra essere la modella e il soggetto preferito.
Assieme a lei il prezioso frutto, la figlia Cordelia. Ovunque si alza un
canto elegiaco alla donna. La figura femminile è centrale
nell’immaginario del pittore, anche quando è lontana dagli affetti è pur
sempre l’eterna musa, come il ritratto di Frau Steiman. Qui la
donna acquista un’eleganza aristocratica e un senso di lontananza, con
rapporti di colori condivisi e contrastanti, di una forza cromatica
vicina alla ritrattistica tizianesca. Anche Ritratto di Eugenia
palesa un’attenzione particolare alla pittura di Tiziano, nonostante
l’evidente amore per i rossi, indagati nelle più straordinarie varianti. Non
è un caso che la sensibilità dell’autore abbia generato una copiosa
produzione ritrattistica tanto da essere definito uno dei più “luminosi”
ritrattisti italiani. Il ritratto è, forse, lo strumento più efficace
per indagare l’intimità di un’anima e spalmarla poi sulla tela. E ancor
meno casuale è la numerosa ritrattistica femminile, dove la protagonista
fondamentale è la luce: caldi punti di luminosità che danzano sui
verdi, i rossi e gli ocra che rivestono le amate modelle.
Nello studio del pittore
Scena campestre
Figura femminile
Iole
la Figlia Cordelia in abito da sera
la Figlia Cordelia in abito da sera
Notturno
Natura morta con statuetta
Donna orientale con anfora
Interno di cortile
Nudo di donna in interno
Figura seduta
In salotto
Pensieri
Donna a lavoro
La lettura
Livido inverno
Meriggio partenopeo
Prime luci dell'alba
Interno con figure
Vanità
Fanciulla che legge
Ritratto di fanciulla
Dolce far niente
La Spadaccina
Cordelia
Figura in bianco
Bimba con ciliege
Cucito
In famiglia
Cucito in famiglia
Stanca!
Ascoltando la radio
La Violinista
Profilo
I Primi alla Grotta di Betlemme
Madre e figlia
Studentessa
Confidenze
Ritratto di Lorenzo Latronico
Ritratto di Raffaele Latronico
Uva
Ritratto di Frau Steiman